Da qualche giorno ‘l’Italia democratica’ è in pena per la sorte di un italiano arrestato in Turchia. Ma come sempre la realtà si è trasformata in farsa.
“Gabriele è arrabbiato, non sa niente di quello che succede fuori dalla sua cella di isolamento. Non gli fanno incontrare un avvocato, non gli dicono di cosa è accusato”, ha detto la fidanzata di Del Grande, Alessandra D’Onofrio, ai giornalisti.
Eppure il motivo del fermo è chiaro. Il nostro connazionale si trovava in una area interdetta, accessibile solo con speciali permessi, al confine tra Turchia e Siria.
Come tutti sanno in quello che fu il centro dell’Impero ottomano negli ultimi tempi la già non troppo florida democrazia è stata abolita. Il presidente Erdogan, a capo di un partito islamista, ha reagito ad uno stranissimo colpo di stato partito da una base Nato (senza che però i governi che fanno parte dell’Alleanza Atlantica sapessero quello che stava accadendo, cosa molto improbabile) arrestando e facendo sparire un numero ancora imprecisato di persone e cacciando dal posto di lavoro giudici, professori universitari, medici, funzionati pubblici che non condividevano totalmente la sua linea politica.
La Turchia da mesi arma e sostiene le forze islamiste che combattono in Siria contro il governo e permette il passaggio sul suo territorio dei foreign fighters che arrivano dall’Europa.
Nei giorni scorsi poi il ‘dittatore’ Erdogan ha vinto un referendum che gli affida poteri assoluti nella gestione dello Stato. Da quelle parti, inoltre, non esiste più una stampa indipendente, tanto che Tana de Zulueta, capo degli osservatori del voto in Turchia per l’Ocse, ha detto: “La nostra missione di monitoraggio ha dimostrato che la campagna per il ‘sì’ (al referendum, ndr) ha dominato la copertura dei media e questo, insieme alle restrizioni dei media, all’arresto dei giornalisti ed alla chiusura dei giornali, ha ridotto l’accesso degli elettori alla pluralità di punti di vista”.
Insomma, la Turchia non è il Paese delle Meraviglie e neppure Shangri-La. Non sono ‘sicure’ Ankara, la capitale, o Istambul, la città più famosa, figuriamoci una ‘restricted security zone’, come spiegano gli avvisi internazionali.
La professionalità di un reporter che svolge il proprio lavoro in posti difficili non si misura solo nella sua capacità di raccontare quello che ha visto. Si deve saper gestire la propria sicurezza e quella dei collaboratori, saper pianificare gli spostamenti, conoscere usi e tradizioni dei luoghi che si visitano, saper scegliere interpreti e guide senza finire nei frequentissimi tranelli che i servizi segreti di mezzo mondo organizzano ai danni degli inviati.
Il caso Del Grande è l’ennesimo episodio di una lunga serie di ‘accidenti’ occorsi ad italiani in ‘missione all’estero’. Non si contano più i rapimenti, molte sono state le uccisioni, frequenti gli ‘screzi’ con le autorità locali.
E’ ovvio che un giornalista, un narratore in generale, debba poter circolare liberamente e svolgere il proprio lavoro senza condizionamenti di sorta. Però non tutto il mondo è un posto accogliente nel quale tra prati fioriti e umani gentili si ricevono dolci e cotillons in belle casette di marzapane.
Milioni di euro sono stati pagati dal nostro governo, in segreto, a rapitori di ogni genere per ‘liberare’ giornalisti italiani molto spesso incauti. E quei denari sono serviti poi alle milizie terroriste per acquistare armi da usare anche contro i nostri militari in missione. Alcuni sono stati anche uccisi e non di rado a causa delle scarse misure di sicurezza prese. Non è raro che tantissimi ‘free lance’ partano senza neppure una adeguata assicurazione e qualche volta anche importanti aziende editoriali hanno ‘risparmiato’ sulle insostituibili scorte armate.
E’ giusto che il nostro governo intervenga per liberare il connazionale prigioniero, ma è anche giusto cominciare a riflettere sulle regole che dovrebbe seguire chi si reca in ‘posti difficili’.
Poi, visto che tutto questo accade in Turchia, ci sarebbe da chiedersi quali iniziative concrete il nostro governo intenda prendere nei confronti di un Paese, come noi membro della Nato, nel quale oltre a Del Grande ci sono migliaia di cittadini detenuti, torturati o scomparsi. Loro però senza aver potuto telefonare a nessuno per lamentarsi della detenzione.
Ma ‘l’Italia democratica’ non ama farsi domande. E’ sempre pronta alla ‘battaglia’ e mai disposta a discutere dei propri limiti ed errori. Per quelli non c’è mai tempo.