A proposito del gasdotto Tap il settimanale l’Espresso, che fa capo a Carlo De Benedetti, ha scritto che esistono “connessioni societarie (aziende con gli stessi amministratori o azionisti) fra tre blocchi di potere politico-economico, che portano al presidente turco Erdogan, al dittatore azero Aliyev e agli oligarchi russi legati a Putin”.
Il mondo è bello perchè è vario, come possono essere tante le interpretazioni dei fatti. In questo caso per esempio l’inchiesta non ricorda che la costruzione di Tap è stata patrocinata dal senatore americano John McCain, noto ai meglio informati per le sue posizioni aggressive nei confronti della Russia (e non solo).
La stessa inchiesta pare aver dimenticato che è stata l’Unione europea a puntare sul progetto Tap.
La questione oleodotti è molto complessa. Il nodo strategico è liberare l’Europa dalla dipendenza dal gas russo. Diversificare le fonti di approvvigionamento significa per l’Europa non rischiare di finire sotto lo scacco del Cremlino.
Per questo motivo l’Ue ha progettato il ‘Corridoio meridionale del gas’ (SGC) e sostenuto il Tap, che porta la materia prima dai giacimenti dell’Azerbaijan.
L’Espresso parlando del lontano Paese asiatico scrive in modo asettico che si tratta di “una piccola nazione che da mezzo secolo è governata da un’unica famiglia, quella dell’attuale presidente Ilham Aliyev, che nel 2003 è succeduto al padre”.
In realtà l’Azerbaijan per la sua collocazione geografica e per il possesso di gas ricopre un ruolo strategico per la NATO, partecipa con propri militari al contingente ISAF in Afghanistan ed ha inviato truppe anche in Kosovo sempre nel quadro delle operazioni dell’Alleanza Atlantica.
Sostenere che Baku ed il presidente Aliyev possano avere rapporti con Mosca, quindi, appare un po’ azzardato.
L’Ue sosteneva anche Nabucco, un altro tubo che doveva portare il gas naturale del mar Caspio attraverso il Caucaso e la Turchia fino all’Austria.
E poi c’era South Stream. L’opera, gigantesca, avrebbe avuto la portata di 63 miliardi di metri cubi di gas ed era frutto di un accordo tra Gazprom, ENI, le compagnie tedesche e francesi Wintershall ed EDF, la greca DEPA e gli enti energetici nazionali di Montenegro, Slovenia, Serbia e Macedonia.
South Stream però avrebbe mantenuto in piedi lo strapotere di Mosca nelle forniture dei gas all’Europa e così la Commissione europea lo ha contrastato in ogni modo. La diplomazia occidentale ha fatto di tutto per spingere il governo bulgaro a porre continui ostacoli. Alla fine l’Europa e Washington sono riusciti a far fallire il progetto.
South Stream, anche detto ‘Gasdotto ortodosso’, era molto gradito a Romano Prodi, che nel 2007 fece in modo di dare all’opera la maggior copertura politica possibile. Anche Silvio Berlusconi lo sostenne, tanto da partecipare alla cerimonia del 6 agosto 2009 per la firma di 20 protocolli d’intesa fra Putin e il premier Erdogan per il transito delle gas sul territorio turco.
Dal punto di vista tecnico South Stream avrebbe dovuto essere una infrastruttura molto avanzata e sicura ed avrebbe risolto il nodo ucraino.
Le forze politiche anti russe di Kiev (alcune delle quali dichiaratamente nazifasciste) sono state sommerse di denaro americano per spostare il Paese nella Nato e renderlo ostile a Mosca. Washington vuole ‘accerchiare’ il Cremlino ed Obama ha anche pensato di dotare l’Ucraina di missili puntati sulla Russia. Le condutture che dai giacimenti russi arrivano in Europa attraversano quindi un Paese ostile che da un momento all’altro potrebbe interrompere il flusso causando danni gravissimi all’economia russa.
South Stream, per altro, col suo tracciato avrebbe evitato di attraversare Paesi come Romania, Polonia, Moldova (oltre alla già citata Ucraina) sui quali la Nato e gli Usa hanno fatto pesanti investimenti politici (e non solo) per sostenere le forze politiche ostili al Cremlino e questo avrebbe di fatto smantellando la centralità strategico-militare di quei territori.
Insomma, dopo il fallimento di Nabucco, Tap è il tubo più caro non solo all’Ue, ma anche alla Nato ed a Washington.
Tap è si un gasdotto, ma prima di tutto è una operazione strategica che serve limitare il ruolo del Cremlino nella fornitura di energia all’Europa.
Per quanto si sa Tap è una società azionaria di cui fanno parte l’italiana Snam(20%), l’inglese BP (20%) l’azera SOCAR (20%), la belga Fluxys (19%), la spagnola Enagás (16%) e la svizzera Axpo (5%).
Secondo l’inchiesta pubblicata dall’Espresso i tentacoli del potere ‘russo’ e ‘turco’ in Tap sarebbero da ricercarsi nella SOCAR. Ora, non è escluso che Erdogan possa aver messo le mani nella società azera (la Turchia è un Paese Nato), ma che Washington sia stata a guardare mentre anche Putin faceva la stessa cosa non appare credibile.
A margine l’Espresso ha legato l’inchiesta sulle connessioni tra Russia e Tap al premio Pulitzer vinto dall’International Consortium of Investigative Journalists per l’inchiesta sui Panama Papers.
Il settimanale italiano fa parte del Consorzio, sebbene più di una volta si sia imbarcato in reportage fantasiosi, tra i quali, vale ricordarne uno tra tutti, quello sulla Prof. Ilaria Capua, ricercatrice di fama mondiale, trascinata in un ‘affaire’ riguardante un inesistente ‘traffico di virus’.
Dopo anni di campagne di stampa ostili il traffico si è dimostrato totalmente inventato e tutte le accuse sono cadute. Capua, profondamente colpita nella dignità personale ha lasciato l’Italia ed oggi dirige l’istituto per le patologie emergenti dell’Università della Florida negli Usa. Mai l’Espresso ed il giornalista Lirio Abbate, l’autore della cosiddetta ‘inchiesta’, si sono scusati con la scienziata.
Il giornalismo dovrebbe raccontare i fatti, ma non sempre questo accade.