L’italia è un Paese di anziani. La popolazione è sempre più vecchia e se non ci fossero gli immigrati saremmo probabilmente condannati ad una lenta estinzione. I giovani sono pochi e quelli che ci sono hanno anche cominciato a partire per trovar lavoro e felicità altrove.
Il presidente del Consiglio fin da quando è comparso sulla scena politica nazionale ha parlato sostanzialmente di due cose. Per lui conta ‘rottamare’ un non meglio definito ‘personale politico vecchio’ e costruire un nuovo ‘futuro’.
Di rottamati nel suo partito ne ha avuto uno solo, Massimo D’Alema, perchè tutti gli altri, da Fassino a Finocchiaro, da Bersani a Zanda, per citarne solo quattro, sono saldamente seduti sulle stesse sedie di sempre. E Veltroni dirà qualcuno? In realtà l’ex sindaco di Roma invece di andare in Africa a lottare per i bambini poveri di quel continente come aveva annunciato ha preferito darsi al cinema ed alla televisione, per lui probabilmente luoghi meno disastrati.
Sul futuro la questione si fa molto più delicata. C’è prima di tutto da mettersi d’accordo su cosa sia il futuro. Per chi ha più di quarant’anni è ancora vivo il ricordo di una Italia messa male per quanto riguarda la politica e la corruzione, ma molto più vivibile per quel che riguarda tante altro. Con uno stipendio di 1000 euro di oggi si viveva più che dignitosamente (due milioni al mese), i treni costavano il 50 per cento di meno, si poteva sperare di trovar prima o poi un lavoro e persino le raccomandazioni funzionavano sul serio. Ma soprattutto gli amici erano più disponibili ed i rapporti umani più profondi.
Ricordare è un segnale di conservatorismo, di nostalgia da anziani, di attaccamento al passato? Forse, ma solo a prima vista. La verità è che ‘il futuro’ non è in quanto tale portatore di benessere e di novità. Dipende da quale futuro si cerca ed in quale presente si vive.
Oggi il presente è senza ideali e senza sogni, un miliardario razzista è diventato presidente del Paese più potente del mondo, c’è chi in nome di un farneticante salutismo teorizza che i vaccini facciano male e così alcuni non li usano e ricompare la poliomielite, la xenofobia dilaga senza limiti… insomma, la situazione non è per nulla rassicurante.
E l’incertezza per il domani è grande, la paura è diffusa, il timore di poter subire delusioni è un sentimento costante.
Renzi e prima di lui Berlusconi annunciano, raffiche di balle da anni vengono sparate sui cittadini, promesse fantasmagoriche si rivelano bufale colossali. E così il futuro è diventato la rappresentazione plastica del peggioramento. Chi parla di futuro non vuol bene agli italiani, piuttosto li prende in giro.
Si prenda il referendum sulla riforma della Costituzione. Persino chi vuole ‘il cambiamento’ ammette che ‘si poteva far di meglio’. Ma come si poteva far di meglio? Allora vuol dire che quello che tentano di far passare è mediocre, mal fatto, arrangiaticcio. “Si, va bene – dirà il renziano – ma è il futuro, si deve andare avanti, bisogna riformare!”.
Siamo certi di aver bisogno di riforme? E se viste le esperienze invece tornassimo al passato? Ad un tempo nel quale i partiti avevano ideali e non capi, avevano nomi comprensibili che non sembravano slogan? Ad un tempo nel quale non si parlava di futuro per fuggire da un pessimo presente, ma si viveva tra problemi e gioia pensando che ‘domani è un altro giorno’.
Insomma, forse l’argomento più formidabile nelle mani dei progressisti non è disegnare scenari del ‘futuro’, ma sapersi guardare alle spalle per capire dove si è sbagliato e proporre un po’ di ‘passato’.