Nel piccolo comune di Alatri, un paesino di neppure 30mila abitanti in provincia di Forsinone, un ragazzo di venti anni è stato massacrato di botte per aver difeso la sua fidanzata.
La scena del delitto è stata un circolo dell’Arci, un tempo associazione di una sinistra che credeva nella cultura e nell’eguaglianza.
I fatti sono la fotocopia di mille altri episodi eguali. Un cretino che importuna una ragazza, il boy friend che la protegge, i buttafuori che invece di riportare la calma fanno i gradassi, lo scontro tra opposte tifoserie di amici alla ricerca di una bella rissa da ‘saturday night’. In questo caso, poi, una delle due ‘squadracce’ in campo potrebbe essere composta anche da albanesi, sarebbero i supporter del molestatore, ma il razzismo non c’entra, gli imbecilli non hanno passaporto.
Lo scenario è simile a quello di molti altri fatti di cronaca eguali. Un bel gruppo di idioti che si picchia di santa ragione ed un altro bel gruppo di idioti che guarda passivamente invece di intervenire. E il morto di turno a far finire il parapiglia per qualche ora sui giornali.
Al momento gli inquirenti avrebbero qualche traccia sui colpevoli, ma non c’è nessuno degli ‘spettatori’, dei ‘cittadini non coinvolti’, che dopo aver visto un energumeno brandire una mazza di ferro e colpire tanto violentemente un ragazzo che, come si legge sul profilo Facebook del comune, “i medici dell’ospedale capitolino hanno rilevato la rottura delle vertebre cervicali e varie fratture craniche provocate con un paletto” abbia avuto il coraggio di intervenire e bloccare il killer.
Con un po’ di qualunquismo ed un po’ di verità Gian Paolo Minnucci, un esponente del M5S di Alatri, ha scritto: “Destra e sinistra hanno ridotto lo stato sociale a zero ma poi, quando accade la tragedia, li dobbiamo anche sentire prendersela con i cattivi, gli assassini, sentirli parlare di giustizia privata, solo per cavalcare un’onda che prende tutti, rimaniamo ragionevoli e seri, qui la colpa è di tutti, della destra quanto della sinistra ma anche di tutti noi che pur sapendo e vedendo la società arrivare allo stremo, non abbiamo mai mosso un dito, mai ci siamo ribellati contro chi ci governa o amministra”.
Ha ragione Minnucci su una cosa: il degrado della società italiana non si limita alla barbara uccisione del povero Emanuele. Le cronache della domenica sono piene di risse davanti alle discoteche per motivi ‘di donne’. Il sindaco di Verona, Flavio Tosi, ha dichiarato: “A casa ho inferriate ai serramenti, c’è l’allarme, dormo con una pistola sul comodino. Senza leggi adeguate devo proteggere la mia famiglia” ed ha dimenticato di aver ferito nel passato un compagno di caccia con un colpo di fucile sparato a casaccio. Il leader della Lega, Matteo Salvini, urla un giorno si e l’altro pure che ‘armarsi per difendersi’ è un diritto. In televisione i programmi alla ricerca di risse da audience si sprecano. E non pochi politici di ogni schieramento scambiano sorrisi compiacenti con quella parte dell’opinione pubblica che invoca il ‘pugno di ferro’ ed insieme, invece di affrontare il malessere della società italiana per trovare rimedi alla violenza diffusa (non solo materiale, ma anche verbale o psicologica), suggeriscono altra violenza come terapia.
Quel che resta della coesistenza pacifica in Italia è in pericolo. Tra chi vuol ‘rottamare i vecchi’ e chi ‘rimandare i migranti a casa loro’. Tra chi ‘vuol licenziare tutti’ e chi ‘metterebbe in galera i politici’. Tra chi ‘ulula alla luna’ e chi vive per ‘buttar via le chiavi’.
Ha ragione Minnucci quando sostiene che sia destra che sinistra non difendono lo stato sociale, ovvero il motivo stesso del vivere civile. Ed ha ragione quando dice che la “colpa è di tutti”.
Sono trent’anni, nella migliore delle ipotesi, che una casta di idioti ed affaristi si è impossessata dello stato. E sono trent’anni che nonostante il Paese sia in costante rovina i cittadini nulla fanno per mandare a casa questa oligarchia infame.
E sempre meno si sente parlare di giustizia sociale, di valori di convivenza, di rispetto dei più deboli, di opposizione alla violenza, di condanna dell’uso delle armi, di riforma del sistema carcerario, di diritti civili.
Così Emanuele è morto, mentre il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, inviava un tweet alla nazione: “Grandissima #Ferrari L’Italia che torna a vincere”.
A vincere cosa non si sa.