L’Italia Paese del nulla vive ormai di retroscena e complotti. E la Rai resta protagonista di scontri furiosi e vittima di un management inadeguato.
Il giornale on line di gossip, Dagospia, rilancia alcune news sul caso ‘Parliamone sabato’. Scrive Alberto Dandolo: “I rapporti tra la gentiloniana Monica “Bilderberg” Maggioni (il Premier la voleva ministro degli Esteri) e il renziano forse pentito Camposanto Dall’Orto sembrano piuttosto tesi. La Presidente da mesi starebbe manovrando per rubare il posto al direttore generale e scalpita per posizionare suoi uomini nelle poltrone chiave dell’azienda. Il caso “Parliamone Sabato” nasconderebbe quindi lotte politiche e interne”.
L’indiscrezione, ovviamente tutta da verificare, si inserirebbe in un contesto ancora più avvilente. Infatti, secondo Dagospia, “a spingere maggiormente per la chiusura del programma di Paola Perego è stata infatti Lady Bilderberg, coadiuvata dalla presidente della Camera Laura Boldrini, sua grandissima amica”.
A ‘motivare’ le signore Maggioni e Boldrini potrebbe essere un fatto da sempre di gran peso nella gestione della tv italiana, il ruolo degli impresari.
Dandolo, infatti, spiega che “a Viale Mazzini raccontano anche che la presidente Rai avrebbe un debole storico nei confronti del potente Beppe Caschetto (concorrente di Lucio Presta, marito di Perego ndr) e che vorrebbe piazzare il pupillo Alessio Rocchi (fa parte del suo staff) come nuovo capostruttura al pomeriggio”.
Un tempo, prima che la lottizzazione divorasse la Rai, il ruolo di capostruttura era affidato a persone di profondo spessore culturale e professionale. Il ‘grado’ si otteneva dopo una lunga gavetta, durante la quale si imparavano a fondo i meccanismi della televisione. Dopo la famigerata spartizione della tv pubblica, alla quale partecipò inopinatamente anche il Pci fino a quel momento tenuto fuori dalle stanze dei bottoni, il tracollo progressivo delle capacità professionali dei dirigenti è stato una costante. Ed ovviamente con capi sempre meno capaci il prodotto è diventato sempre più scadente.
Sempre Dagospia informa che la produttrice del programma, Antonella Stefanucci “debba essere l’agnello sacrificale per evitare sanzioni a Gregorio Paolini, il capoprogetto del programma”.
Antica la storia di Paolini, figlio dello scrittore Alcide Paolini, potentissimo editor della Mondadori negli anni ’80. Collaboratore dell’Arci, quando la casa editrice di Segrate entrò nel mondo delle televisioni fu inserito nell’organico di Rete4 per passare poi in Fininvest con Fatma Ruffini, una delle ideatrici del modello tv berlusconiano. Alla fine degli anni 90 venne ‘cooptato’ in Rai (sembra su indicazione di Veltroni), pur non possedendo alcuna affinità culturale con quello che rimaneva del patrimonio professionale del servizio pubblico. Lì fu messo a dirigere una equipe specializzata nella realizzazione di prodotti innovativi. Di innovativo da quel gruppo non venne fuori nulla e così nel 2002 la sua esperienza all’ombra del cavallo sempre meno rampante di viale Mazzini finì. Da quel momento tra bassi e più bassi le notizie su di lui si sono diradate fino alla nomina di Campo dell’Orto. Dopo l’arrivo del ‘messaggero renziano’ a viale Mazzini Paolini ottiene il ruolo molto ben pagato di ‘capo progetto’ de ‘La vita in diretta’ e di ‘Parliamone sabato’.
Questa la cronaca, più fedele che meno, dei fatti.
Ma oltre il corridoio c’è la fotografia impietosa della ex ‘azienda culturale più grande del Paese’, ormai in via definitiva nelle mani di personaggi in cerca di autore.
I partiti, già diretti male da mediocri passacarte, non hanno solo devastato i telegiornali, ma hanno distrutto le reti (anche quelle radiofoniche) selezionando gruppi dirigenti di terzo livello se non peggio. Da troppi anni, infine, nella palude radiotelevisiva si aggirano alligatori inferociti, affamati di fame, inconsapevoli persino del proprio ruolo di rettili preistorici.
Il ‘caso Perego-donne dell’Est’ rientra in questa miseria, si fonde con incursioni e scorribande, agguati e scaramucce tra eserciti rappresentanti del nulla. Mentre gli italiani non solo pagano un canone sempre meno giustificabile, ma perdono il diritto ad essere informati e, come accadeva un tempo, la libertà di essere formati all’attenzione per la cultura e la conoscenza.
Ancora un altro pezzo di Italia svenduto in nome dell’arroganza e non si vede all’orizzonte nessun segno di riscatto.