Il presidente del Consiglio nomina il suo clone Gentiloni, rimane segretario del Pd e scrive di essere ormai un “semplice cittadino” senza stipendio.
In un post su Facebook ieri sera Matteo Renzi ha scritto : “Torno a Pontassieve, come tutti i fine settimana […] Ho chiuso l’alloggio del terzo piano di Palazzo Chigi. Torno a casa davvero. Sono stati mille giorni di governo fantastici. Qualche commentatore maramaldo di queste ore finge di non vedere l’elenco impressionante delle riforme che abbiamo realizzato, dal lavoro ai diritti, dal sociale alle tasse, dall’innovazione alle infrastrutture, dalla cultura alla giustizia […] Io però mi sono dimesso. Sul serio. Non per finta. Lo avevo detto, l’ho fatto […] Torno semplice cittadino. Non ho paracadute. Non ho un seggio parlamentare, non ho uno stipendio, non ho un vitalizio, non ho l’immunità. Riparto da capo, come è giusto che sia. La politica per me è servire il Paese, non servirsene”.
In pochi hanno visto tutte le meraviglie di cui parla l’ex premier (per ora). I giovani non credono al Jobs Act, il mondo del lavoro ha considerato la libertà di licenziamento un colpo durissimo ai diritti, nessuno si è accorto della diminuzione delle tasse. Gli scandali per corruzione, poi, dilagano nel Paese e non si hanno notizie sul miglioramento dello stato drammatico delle infrastrutture o sulla crisi del sistema giudiziario.
Tuttavia, una cosa infastidisce più delle altre nella missiva di Renzi. Quel “non ho uno stipendio”, detto dal segretario del principale partito del Parlamento, è davvero una offesa per chi il lavoro davvero non lo ha.
Renzi non sa davvero contenersi, pensa davvero di poter smerciare balle come fossero noccioline. E continua nel suo post con un avvertimento inquietante per chi ha a cuore il futuro del Paese: “Ai milioni di italiani che vogliono un futuro di idee e speranze per il nostro Paese dico che non ci stancheremo di riprovare e ripartire […] Noi siamo quelli che ci provano davvero. Che quando perdono non danno la colpa agli altri […] Ci sentiamo presto, amici”.
Il Pd ormai è un partito senza testa, nel senso più concreto possibile. Dopo una campagna elettorale martellante, costosissima, durata mesi per far passare una riforma della Costituzione scritta coi piedi e dopo una sconfitta bruciante al referendum ‘l’esule a Pontassieve’ non ammette un solo errore, ma anzi insiste nell’autocompiacimento per una azione di governo che la maggioranza degli italiani ha trovato fallimentare.
Il futuro appare davvero ‘sinistro’ per il Pd. Un gruppo dirigente che non vede la propria crisi e migliaia di elettori fidelizzati sul nulla. Mentre di ‘sinistra’ in quella forza politica non resta ormai più nulla.