Il giovane imprenditore arrestato a New York dopo aver finto di essere stato rapito. Aveva bisogno di soldi.
Tutti hanno il diritto di vivere la vita che vogliono e la cronaca non dovrebbe mai curiosare nel ‘tempo libero’ di nessuno. Tuttavia, il caso di Lapo Elkann è più grande di lui stesso perchè racconta di una famiglia che ha ‘fatto’ la storia industriale nazionale.
Non è un mistero: il denaro autorizza comportamenti d’ogni genere e soprattutto consente ‘trasgressioni’ di tutti i tipi.
Sul nonno Gianni Agnelli si raccontano mille storie e non tutte per chierichetti o sagrestie. La morte violenta di Edoardo è un capitolo tragico che tanto ha colpito l’opinione pubblica e dopo i conflitti tra Margherita, sua madre Marella e gli altri familiari per motivi di eredità hanno riempito le pagine dei giornali. Il cancro di Giovannino, l’erede designato della dinastia, ucciso dalla malattia a soli 33 anni, i dissesti sentimentali di suo fratello Andrea, l’anacronistico scenario ‘principesco’ nel quale si muove spesso e volentieri John Elkann, attuale presidente della Fiat Chrysler Automobiles, della FCA Italy, della Giovanni Agnelli e C. S.a.p.az. e di Italiana Editrice, sono tutti tasselli di una saga forse vicina ad una fine comune con un’Italia anche lei destinata a sparire del tutto.
Gli Agnelli (Elkann) non sono solo una dinastia complicata, sono la Fiat, fino a qualche tempo fa la più importante azienda del nostro Paese.
Quando ad un passo dal tracollo il Gruppo è stato affidato al manager italo-canadese Sergio Marchionne il nuovo ‘boss’ ha trasformato la vecchia azienda familiare in un colosso multinazionale ormai quasi del tutto fuori dall’Italia.
Dalle parti della Fabbrica Italiana Automobili Torino, nel frattempo diventata il ‘distaccamento peninsulare’ della Fiat Chrysler Automobiles, settimo costruttore di auto al mondo con base negli Usa e di diritto olandese (dove si pagano meno tasse), sono passati nei decenni molti ‘super capi’, da Vittorio Valletta a Cesare Romiti fino a Giuseppe Morchio. Ma sempre gli Agnelli sono stati il vero ‘marchio di fabbrica’, gli amministratori delegati facevano e disfacevano, ma senza metter mai in secondo piano ‘il blasone’.
Oggi il cognome è Elkann, neppure Agnelli, e l’azienda a tutti gli effetti sta lontana da Torino o meglio da Villar Perosa, da sempre la ‘capitale’ della dinastia.
Il capitalismo italiano, quello storico, insomma ha perso la sua ultima grande impresa nazionale, in un declino che non è del solo settore automobilistico, ma di tutto il mondo produttivo del Paese.
Ieri l’eccentrico Lapo, rimasto senza soldi ‘spiccioli’ dopo un paio di giorni di bagordi non proprio da educande, per continuare ‘a giocare’ si è inventato un finto rapimento con un riscatto da 10mila dollari, quello che probabilmente spende per noleggiare un auto nel week end. Lo hanno scoperto, arrestato ed ora rischia anche molti anni di prigione, anche se negli Usa i soldi possono molto nei tribunali.
A pensarci bene nel declino del ‘ragazzo Elkann’ e della ‘famiglia’ e nell’emigrare della Fiat c’è il contemporaneo declino dell’Italia. C’è la terribile fine di un’epoca, perchè quando gli eredi non sono all’altezza dei padri c’è non scampo. Che sia una famiglia, che sia un Paese intero.
Il Lingotto non c’è più e neppure ci sono più i grandi leader del dopoguerra. La grande idea della 500 è diventata una copia carina, ma non più rivoluzionaria, di quella indimenticabile utilitaria e la Costituzione riscritta da Renzi, Boschi, Verdini e Alfano non è davvero quella di De Gasperi, Nenni e Togliatti.
Si, davvero il tempo non fa sconti chi sbaglia.